La corsa ai data center con oltre 66 GW di richieste di allaccio a Terna, ma solo una piccola quota sarà realizzata. L’arrivo degli hyperscale, i consumi elettrici e idrici, l’integrazione ambientale e le strategie ministeriali.
In Italia a fine ottobre sono stati superati i 66 GW di richieste di connessione a Terna per nuovi data center alla rete di trasmissione, a cui vanno sommati i progetti più piccoli sulla rete di distribuzione.
Secondo il responsabile “Programmazione territoriale efficiente” di Terna, Mauro Caprabianca, questi progetti si concentrano per più dell’80% al Nord e per quasi 20 GW solo nel milanese.
Un prompt di intelligenza artificiale oggi consuma solo 0,0003 kWh e poche gocce d’acqua. Ma quando i prompt diventano miliardi, parliamo di fiumi di elettricità e milioni di litri d’acqua.
Quelle richieste sarebbero una cifra pari a oltre la metà del parco termoelettrico nazionale, ma come ha spiegato l’esperto energetico, Mauro Moroni, non costruiremo tutti quei gigawatt, visto che molte domande sono state fatte solo per opzionare la rete.
Una crescita rilevante, ma gestibile
Secondo il Politecnico di Milano e i principali analisti globali, entro il 2030 vedremo “appena” 1,4-2,0 GW effettivi. Con PUE moderni (Power Usage Effectiveness, metrica che misura l’efficienza energetica di un data center) e un utilizzo medio al 60%, questa potenza si tradurrà in circa 14 TWh/anno aggiuntivi, quasi il 5% della odierna domanda nazionale.
I consumi globali dei data center in Italia potranno raddoppiare fino a 3-4 GW al 2035 e fino a 5 GW al 2040, per consumi di oltre 30 TWh/anno. Insomma, non un salto ingestibile, prevedendo anche un progressivo miglioramento nell’efficientamento di queste strutture. Si tratta tuttavia di un settore industriale che dovrà essere pianificato con attenzione.
Una fotografia dell’esistente
Tuttavia, come ha detto il responsabile Terna nel corso della presentazione del documento I-Com dal titolo “Dare Energi-IA all’Italia. Data center e intelligenza artificiale per la sostenibilità” (pdf), l’espansione dei centri dati porterà nuova domanda di energia, e quindi andrà garantito lo sviluppo di un’adeguata capacità di generazione, per evitare impatti sulla copertura del carico e sui prezzi.
Attualmente si contano 209 impianti in Italia (a ottobre 2025), con una distribuzione territoriale concentrata su Milano (73 impianti), Roma (21) e Torino (11).
Il consumo di queste strutture si è attestato nel 2024 intorno ai 3,9 TWh, di cui circa il 66% è stato utilizzato per l’inferenza (risposta agli input), mentre il restante è attribuibile all’addestramento di modelli.
La potenza complessiva installata, sempre lo scorso anno, ha raggiunto 287 MW. Sotto un profilo energetico la gran parte dei data center in esercizio è finora concentrata sulla rete di media e bassa tensione, visto il calibro contenuto degli impianti e il loro uso più ristretto.
L’arrivo degli hyperscale cambia la rete
Ma le previsioni stimano un raddoppio della potenza entro il 2026, con l’entrata in funzione di alcuni hyperscale (grandi impianti), che richiederanno un diverso tipo di connessione. Secondo Terna questo passaggio verso dimensioni maggiori, con un conseguente aumento della potenza richiesta da ciascun impianto, richiederà allacci diretti alla rete di alta tensione.
Lo scenario sarà quindi a due velocità: da una parte pochi hyperscale, campus enormi capaci di spostare i numeri nazionali, dall’altra molti edge da 1-5 MW.
Acqua ed elettricità: un equilibrio delicato
Dal punto di vista del consumo idrico nei grandi campus, per abbassare il PUE a valori bassi, di 1,1-1,2, si usano sistemi evaporativi che consumano anche milioni di litri al giorno per 100 MW, equivalenti al fabbisogno di migliaia di famiglie.
Al contrario, i sistemi “water-light” (dry cooler, direct-to-chip, chiller ad aria) portano il PUE a 1,3-1,4, quindi consumano più elettricità, ma quasi azzerano l’uso d’acqua.
È un trade-off strutturale: efficienza energetica contro efficienza idrica. In Italia, non rischiamo però uno shock idrico, ma ogni progetto dovrà essere calibrato per ridurre al minimo l’impatto.
Integrazione ambientale e best practice europee
L’integrazione ambientale è comunque importante.
All’estero si utilizza da tempo il calore di scarto nel teleriscaldamento, in Olanda le leggi impongono trasparenza su consumi energetici e idrici, in Germania i nuovi data center devono garantire piani di recupero del calore, in Svezia vengono progettati in simbiosi con le reti rinnovabili. Ma anche in Italia ci sta muovendo in questa direzione (vedi Brescia con A2A).
Da consumatori ad attori di rete
Ma è interessante guardare avanti: i data center non saranno solo consumatori ma anche attori di rete, contribuendo alla stabilità di tensione e frequenza. Insomma, saranno chiamati a fornire servizi ancillari, a coordinarsi con gli accumuli, ad assorbire surplus di energia da fonte rinnovabile, a diventare cerniere tra generazione e consumo.
Anche il quadro normativo da punto di vista delle connessioni dovrà essere aggiornato in questa direzione, trasformando i data center in stabilizzatori della rete e non in problemi per il sistema.
La strategia del governo
Intanto, il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha presentato il 5 novembre la “Strategia per l’attrazione degli investimenti esteri nei data center” (pdf), un documento in cui si promuove uno sviluppo diffuso delle infrastrutture di data storage e cloud a servizio di imprese, pubblica amministrazione e cittadini.
Obiettivo è di inquadrare la cornice di riferimento per attirare investimenti in data center sul territorio nazionale, individuando punti di forza e debolezze del sistema. Si suggerisce di premiare gli impianti particolarmente attenti alle tematiche ambientali per quanto attiene il settore elettrico, idrico e di produzione del calore, sostenere gli investimenti in rinnovabili e reti elettriche, tenere sotto controllo i prezzi dell’energia e assicurare il riutilizzo delle acque trattate/depurate.
Altri punti ritenuti cruciali sono l’individuazione di aree di sviluppo maggiormente indicate per queste infrastrutture, la semplificazione delle autorizzazioni e la contestuale creazione di norme uniformi con indicazione certa dei tempi delle varie fasi del processo autorizzativo.
Governare la crescita per non restare indietro
In conclusione, i data center vanno considerati una nuova infrastruttura industriale che dovrà essere governata con regole chiare, trasparenza e capacità tecnica.
L’Italia non subirà shock elettrici o idrici dall’implementazione di qualche GW di capacità, ma secondo alcuni analisti rischia un gap competitivo in questo ambito.
Molti paesi Ue hanno già infrastrutture e progetti solidi, con miliardi di investimenti. “Se non vogliamo restare fanalini di coda della nuova economia digitale, non basterà regolare: dovremo anche favorire e accelerare, facendo dei data center non un problema da subire, ma un’opportunità da guidare”, ha detto a QualEnergia.it Mauro Moroni.
Articolo a cura di QualEnergia.it
PUBBLICAZIONE
10/12/2025